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Massimo Recalcati o la ricerca imperturbabile di senso

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Massimo Recalcati … o ‘la ricerca imperturbabile di senso’.
“A libro aperto” : una vita è i suoi libri. Feltrinelli 2018

“Il libro vero parla sempre al momento giusto. Lo inventa lui, il momento giusto; con il colore della parola, con la singolarità della battuta, con il piacere della scrittura” - scrive Ezio Raimondi in “Le voci dei libri”, ed è così. Avviene tutto per sintesi, addirittura potremmo dire per simbiosi, data la necessità interiore che ci fa stendere la mano verso un libro e non un altro. Perché è proprio quello di cui necessitiamo in quell’istante e che funge da richiamo. Così accade per il colore o la mancanza di colore di quella copertina, della grafica che ci cattura lo sguardo, ci lusinga, ci abbindola. Quante volte abbiamo aperto un libro e scorrendo le sue pagine ci è sembrato di aver trovato proprio quello che volevamo leggere, o magari, solo sentirci dire?

Ogni libro ha un suo odore, non è forse così? Poco dopo che lo maneggiamo, riconosciamo nella carta e nell’inchiostro un sottofondo odoroso che lo fa nostro, per cui sappiamo dire finanche dove siamo arrivati a leggere senza l’uso del segnalibro. Altre volte, rammento, di aver sfogliato un libro e averlo subito riposto, perché non lo sentivo adatto a me; oppure averlo ricevuto in regalo e messo via, nel limbo delle attese. Come dire, in stand-by, aspettando il momento migliore per leggerlo e che talvolta è arrivato dopo anni, che quasi non ricordavo neppure di averlo. Invece era lì, come ho detto in apertura, aspettava il momento giusto, per imporsi alla mia attenzione, e accipicchia, quante volte l’ha spuntata Lui, il Libro e devo ammettere che ‘in qualche modo’ mi ha cambiato la vita.

È quanto accade a Massimo Recalcati in questo libro di grande attualità che pure nasconde tra le sue pagine un ché di nostalgico della giovinezza vissuta, degli studi perseguiti, degli amori ‘segreti’ per quegli autori che come lui, più o meno, in tanti abbiamo condiviso. Sui cui scritti, in questa consistenza di cambiamento epocale, oggi andiamo alla ricerca di ‘senso’. Perché un ‘senso’ è scontato che i libri ce l’anno, e spesso formano le nostre vite: «I libri sono tagli nel corso della nostre vite. Ogni incontro d’amore ha la sua natura traumatica del taglio. L’incontro con un libro è (sempre) un incontro d’amore.»

Così come anche ha detto un ‘profeta della parola’ Vinicius De Moraes (*): “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”, «La lettura di un libro – secondo Recalcati - può essere un incontro che introduce in una vita un taglio che separa un prima da un poi … lo spartiacque nel cammino di una vita», una ‘essenza’ che avvertiamo oltre il ‘senso’ chiuso delle parole e che invade il nostro essere, finalmente libero di apririsi all’immaginario. Un po’ come, in chiave figurativa, dello sguardo che dopo aver superato un tratto di fitta boscaglia, all’improvviso si trova davanti la distesa incommensurabile del mare.

«Un libro sopinge all’apertura, si concatena sempre con altri libri … contiene sempre altri libri. […] La lettura è un’avventura non solo perché ci porta in una lingua e in un mondo che non conosciamo, ma perché ci separa da noi stessi, dalle nostre credenze, dalla nostra identità già costituita», ed è su questa specifica affermazione identitaria che intendo soffermarmi, nel parlare dell’esperienza che si fa ‘del leggere’ e che spesso ci invade, come lettori, mettendo a repentaglio le nostre convinzioni e i nostri sentimenti: «Sicché leggere implica sempre l’esperienza del perdersi nel libro, l’esperienza di una divisione», ma, ed anche, di una ‘condivisione’ pro e/o contro l’autore stesso del libro, oppure pro e/o contro questo o quel personaggio entrato nella storia.

«Cos’è in realtà un libro se non la narrazione di un’esperienza?», si chiede e ci chiede Recalcati, per poi avvenire all’unica risposta possibile da dare: «Non solo noi leggendo abbiamo la possibilità di leggere le nostre esperienze, ma facciamo attraverso il libro esperienza delle esperienze che vi sono raccontate.» Ciò che facciamo spesso nell’immedesimarci all’interno di un libro nel co-reagire alle intemperanze della trama, frapponendo in essa la nostra peculiare sensibilità, la nostra identità, i nostri talvolta ostentati sentimenti. Non va qui trascurata un altra essenza ‘del leggere’, forse ancora più sottile e ancor più nascosta, con la quale l’autore fa breccia nella psiche del lettore; ed è l’essenza della ‘musica’ con cui l’autore avvolge la parola, intrinseca della frase costituita.

Musica che ‘illumina d’immenso’ l’espressione poetica del canto e che diviene essa stessa ‘poesia’ quando non tramuta in ‘preghiera’. Annota Recalcati che: «Per poter leggere un libro occorre ovviamente conoscere la lingua in cui è scritto. Non c’è pratica della lettura senza alfabetizzazione della lingua. Ma la nostra prima lingua non è la lingua dell’alfabeto, la lingua sottomessa alle leggi universali del linguaggio. La nostra prima lingua (che non conosce alfabeto condiviso) è la lingua del corpo (*), è la lingua fatta da “schegge del corpo” che Jacques Lacan ha battezzata come ‘lalingua’ . .[…] Non è la lingua strutturata dalle leggi impersonali e universali (?) della grammatica, […] scandita e articolata dai principi della fonazione.» Bensì è una lingua … senza scansioni, fatta di significati staccati, di lettere (fonemi), di suoni (note musicali), di emozioni (poetiche) e di affetti (amori) confusi. E che quindi «Non è la lingua che esce come sorta di fluido organizzato dal corpo, ma è la lingua che si confonde con il corpo, che è essa stessa corpo.»

Di fatto, avverte Recalcati: «Lalingua non è fatta per essere condivisa, ma per definire singolarità incondivisibile di una vita e delle tracce uniche e irripetibili che l’hanno formata. In questo senso somiglia alla poesia. Come l’arte della poesia, infatti, lalingua fa valere il carattere traumatico della lettera singolare, irriducibile al carattere uniforme e già stabilito del linguaggio. Non a caso Paul Celan (il poeta a noi più vicino), definiva la poesia come una “catastrofe del linguaggio”. La poesia, infatti, traumatizza il codice universale del linguaggio, così come lalingua alluviona incessantemente il suo campo. La vita intaccata da lalingua è una vita immersa nella memoria antica, della voce, della lettera, dei fonemi, del gergo più arcaico (anima mundi) che ci ha formati sin dai nostri primi vagiti.»

Quindi in primis fu la lingua, la memoria condivisibile del nostro essere lettori, che ci porta a leggere questo libro di Massimo Recalcati con particolare apprensione, facendo delle sue molteplici esperienze le nostre stesse conoscenze e consapevolezze, al fine utilitaristico nella nostra individuale ‘ricerca di senso’, e che egli (l’autore) trova nella moltitudine dei libri citati, come se i ‘libri’ per l’appunto suddetto, gli fossero andati incontro nel momento giusto, per imporsi alla sua attenzione. È così che nel parlare di quel capolavoro della lingua italiana: “Il sergente nella neve” di Rigoni-Stern, egli affronta il tema della solitudine: «Per questa ragione, nella solitudine che nessuna appartenenza può ridurre, sembra riemergere dalla memoria antica dell’inconscio – dalla sua lalingua – una preghiera.»

Più insolito, ma inerente ai suoi studi filosofici, Recalcati ci parla di “La nausea” di J.-Paul Sartre: «..una di quelle letture che mi ero sempre riproposto di fare – dice sottintendendo che non aveva ancora fatto – appena in tempo, prima di partire per le vacanze estive. La sua tesi centrale “l’esistenza precede l’essenza”, era stata per me una vera e propria rivelazione. La filosofia - così la leggevo – non si occupa di essenze sovrasensibili, di idee, di strutture trascendentali […]. Un’esistenza non è definita per natura, non appartiene alla sua essenza, non è già stata nel suo eidos, non risponde a nessun logos, ma disegna se stessa nella sua stessa vita, nel progetto singolare della sua esistenza.»

Una rivelazione questa che è l’essenza di questo libro, impegnativo ma scorrevole quanto una biografia della vita dell’autore ridotta in pillole letterarie ben assortite, e come dice una nota canzone disneyana “con un poco di zucchero la pillola va giù”, anche noi lettori riusciamo a ingoiare i suoi lacaniani poteri interpretativi quando ci parla di autori come l’Heidegger di “Essere e tempo”; dell’ “Interpretazione dei sogni” o di “Al di là del principio di piacere” di Freud; del “La psicoanalisi” di Lacan e dei tanti, tantissimi altri, da riempire una biblioteca filosofico-psicologica che va da Elia ad Abramo, da Epicuro ad Omero, da Sofocle ad Agostino d’Ippona, da Croce a Kant, da Kafka a Kierkegaard, da Joyce a Barthes, da Flaubert a Stendhal, da Pasolini a Rella, a Ungaretti, a Roth, a Vittorini, a Wittenggestein ecc. ecc. fino a Cormac McCarthy e al suo libro “La strada” cui dedica un intero capitolo alla figura ‘del padre’, al rapporto ‘padre figlio’ e alla possibile interazione e trasmissione del ‘fuoco dell’esistenza’:

“Sapeva solo che il bambino era la sua garanzia.
Disse: Se non è lui il verbo di Dio
allora Dio non ha mai parlato.” (C.McCarthy)

Per tornare al leit-motiv iniziale ho trovato davvero interessante l’enunciato di Ginevra Bompiani (*) che in “Vari” ipotizza quanto segue: “Se i libri non ti cambiano la vita, certo la fanno. […] Direi piuttosto che i libri ti costruiscono la vita, la ondeggiano, la sprofondano e poi la sollevano, come un sentiero in cresta fra le colline. […] I primi libri, quelli letti da bambino, le danno la patina l’illusione specifica. […] I libri letti da ragazzi non hanno autore, sono sottomarini anonimi che colpiscono e affondano la corazzata bambina. Non c’è difesa da loro, non c’è protezione. L’emozione e la cattura sono totali. […] L’emozione non ha sempre a che fare con la qualità, piuttosto con la forza. Quando si invecchia, si scopre che l’emozione è una forma di malattia. Non sempre si guarisce, ma quando la malattia si spegne, si rimane svuotati, come in una mattina di ottobre, tersa, pungente, senza veli di nebbia, persi in un orizzonte che non ha segreti”.

Ed è questa malattia che spesso diventa ‘magia’ capace di stravolgere la vita con le parole. Una ‘magia’ che incanta e che lascia spazio ai sogni, alle illusioni, al canto lirico e alla poesia, quando ottimisticamente “credevamo altresì di trovarci all’alba di qualcosa di nuovo”, quel qualcosa che Enrico Brizzi (*) nel parlarci de “Il giovane Holden” di Salinger, ci ha condotti per mano nella sensazione d’incredulità irreligiosità e diffidenza che ci attraversa tutti.

Ma è a Romano Montroni (*) che per primo, forse, ha dato a questa nostra epoca, la dimensione di come davvero “I libri ti cambiano la vita”.

L’autore.
Massimo Recalcati è uno psicoanalista lacaniano e autoredi saggi. Si è formato alla psicoanalisi a Parigi con Jacques-Alain Miller. Tra i più noti psicoanalisti in Italia, è membro analista dell’Associazione lacaniana italiana di psicoanalisi e direttore dell’IRPA (Istituto di ricerca di psicoanalisi applicata). È stato direttore scientifico nazionale dell'ABA (Associazione per lo studio e la ricerca dell'anoressia e della bulimia) dal 1994 al 2002. Ha insegnato nelle Università di Milano, Padova, Urbino e Losanna. Oggi insegna Psicopatologia del comportamento alimentare presso l’Università degli Studi di Pavia e Psicoanalisi presso il Dipartimento di Scienze Umane dell'Università degli Studi di Verona.

Note:
(*) Si dice ‘lallazione’ quella fase pre-linguistica caratterizzata da coppie di vocali e consonanti definite con toni diversi che segna l’inizio dell’attività espressiva del neonato.
(*) Vinicius De Moraes, “Poesie e Canzoni” – Vallecchi editore – Firenze 1981.
(*) Romano Montroni, “I libri ti cambiano la vita” – Longanesi 2012
(*) Ginevra Bompiani, in “Vari” – in Romano Montroni op.cit.
(*) Enrico Brizzi, prefazione a “Il giovane Holden” di Salinger – Einaudi 2013














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